Se vogliamo veramente aiutare i giovani...
Tempo fa, su queste colonne, scrivemmo che il nostro era un Paese sempre meno a dimensione della prima fascia d'età. La pandemia e il Recovery Fund non stanno migliorando le cose
di William Di Marco
LA SCUOLA INNANZITUTTO – Il mondo giovanile è sempre trattato come la cenerentola della nostra società. In apparenza molti adulti si riempiono la bocca di giovanilismo di maniera, ma al momento del dunque le politiche indirizzate a chi si affaccia per la prima volta alla vita lavorativa sono del tutto forvianti e non individuano quale sia il vero problema. Intanto la svolta vera e propria si avrebbe se iniziassimo a pensare in modo diverso la nostra scuola. È una questione legata ai vari livelli della formazione scolastica, a partire dall'organizzazione generale, per giungere alla struttura dei corsi e indirizzi, per passare al personale che ruota intorno a questo fondamentale e affascinante mondo. In tal senso occorrerebbe realmente riformare i cicli educativi così come li conosciamo, partendo però da una considerazione di fondo. Molti sono convinti che gli istituti nazionali siano a un buon livello, se non ottimo. Quando si fanno i paragoni con l'estero viene fuori sempre una sorta di autocelebrazione dei nostri metodi, come se fossero al vertice di una piramide, al punto che diversi sostengono, sia all'interno sia all'esterno della scuola, che i migliori ingegneri, tecnici, scienziati italiani che stanno all'estero sono tali perché si sono formati in Italia. Non è proprio così, perché si potrebbe dire che sono così bravi nonostante abbiano frequentato le nostre aule, anche universitarie. Ma su questo crinale potremmo rimanerci un tempo indefinito, poiché sono vedute di carattere sociologico, politico e alle volte anche ideologico. La realtà è ben diversa. Tra i Paesi Ocse (i 36 più sviluppati al mondo, inclusa l'Italia) il nostro è ai primi posti per dispersione scolastica, mentre è agli ultimi per numero di diplomati e laureati. Le carenze si riscontrano pure nelle conoscenze di base, cioè linguistiche, matematiche e scientifiche. Anche lì ricopriamo gli ultimi posti e questo trend dura oramai da diversi lustri. Quindi, se è vero che dalle nostre parti molteplici risorse umane in ambito scolastico sono più che buone e alle volte eccellenti (insegnanti che sanno quello che vorrebbero e spesso lo mettono in pratica a fatica) sta di fatto che i numeri sono impietosi. Con questa visione d'insieme risalta subito che il ciclo di studi è sbagliato. I giovani hanno la massima attitudine a sviluppare la creatività e l'immaginazione nella fascia d'età che va dalla fanciullezza all'adolescenza e perdono quello smalto già intorno ai vent'anni. In pratica stiamo parlando di un'età evolutiva che riguarda proprio gli istituti di Secondo Grado, Inferiore (le Medie di una volta) e Superiore. Ebbene, in questa fascia d'età la nostra scuola ha ancora le idee confuse e non prepara a una specializzazione dei ragazzi, rinunciando in tal modo a far emergere le loro facoltà (che poi, come abbiamo visto, scemano). In sostanza, la formazione rispecchia ancora una impostazione gentiliana, in cui i percorsi sono molto rigidi e imperniati, purtroppo, a quel primo livello di apprendimento che è la conoscenza. La preparazione, nonostante i mille sforzi, non ha fatto passi in avanti, anzi è rimasta legata a schemi che penalizzano lo studente e lo fanno disorientare. Inoltre, va ricordato che un ragazzo bravo lo è da sé e riesce nel proprio percorso grazie alle sue potenzialità. Invece la gran parte di studenti ha bisogno di avere un ausilio allo studio di tipo metodologico e non trova rispondenza con una formazione limitata al solo mattino. Per poter far partire tutti alla pari e offrire un reale supporto ai ragazzi e ai nuclei familiari, la scuola dovrebbe essere a tempo pieno, in modo che i giovani possano trovare completezza di metodo e di approfondimento nello studio grazie all'apporto sistemico dei docenti in quelle ore pomeridiane che oggi sono appannaggio delle famiglie, spesso in difficoltà per via delle occupazioni lavorative dei genitori. Il giovane, così, è lasciato a se stesso e alla incapacità organizzativa. La pandemia ha acuito questo isolamento dei nostri figli verso i coetanei e il mondo esterno (sindrome hikikomori)
ITS E REDDITO DI CITTADINANZA – Che la nostra formazione ha forti lacune lo si vede anche nelle iscrizioni negli Istituti Tecnici Superiori, cioè dei corsi post diploma che riescono a dare una specializzazione in diversi ambiti lavorativi, tutti altamente professionalizzanti. Questi corsi durano due anni e rappresentano una via di mezzo tra la Scuola Superiore e l'Università. In Italia sono frequentati da una minoranza, nonostante, in alcuni indirizzi, la loro percentuale di occupazione immediata sfiori l'ottanta per cento. Se facciamo un paragone con la Germania il confronto è umiliante. Nel Belpaese gli iscritti si aggirano intorno ai ventimila, nella patria dei Teutoni siamo quasi a un milione. Significa che la scuola, in quel caso, sa come agire per dare un senso di vita lavorativa ai propri giovani, mentre da noi consideriamo, sovente, la scuola e l'università un parcheggio dove solo alla fine si vedrà il da farsi. Il mondo giovanile ha bisogno di stimoli, di novità, di avere le briglie sciolte il più possibile, invece dalle nostre parti si pensa prevalentemente al Reddito di Cittadinanza come una panacea per dare una mano a risolvere il periodo di trapasso tra la disoccupazione e il lavoro vero e proprio, creando spesso sottooccupazione o inoccupazione. È vero che un aiuto a certi giovani che hanno più difficoltà potrebbe essere contemplabile in una visione d'insieme del welfare state, ma non si risolvono i grandi problemi dell'inattività dando soldi senza una controparte impiegatizia. Il Reddito di Cittadinanza non abitua al lavoro, ma lo penalizza. Sotto questo profilo i dati sono molto allarmanti, soprattutto per il Mezzogiorno, dove, per assurdo, il contributo è andato a sostituire quelle false pensioni di invalidità che per decenni sono state erogate a mo' di ammortizzatore sociale. La Campania, con 5.679.000 abitanti, distribuisce più RdC dell'intero Nord, con 27.450.000 abitanti. In Sicilia la situazione non è migliore e in queste due regioni del Sud ci sono tanti "assisititi" quanto in tutte le altre diciotto zone d'Italia. Si evince che tale manovra non è servita a creare posti di lavoro, ma a incentivare un concetto di sussistenza che non stimola affatto quelli che si dovrebbero affacciare nel mondo dell'occupazione. Per non parlare dei quasi tremila navigator, stipendiati dallo Stato, i quali dovevano facilitare situazioni lavorative. Si sono avuti oltre un milione di colloqui, con solo 192.000 posti stabili individuati. Insomma, una vera debacle. Il giovane ha bisogno non di un ausilio, ma del lavoro vero e proprio, perché c'è una soddisfazione di tipo umano e sociale quando ci si sente parte integrante di una collettività che cresce e si sviluppa. Dare i soldi per non fare niente è il peggiore dei segnali. Sarebbe stato più corretto incentivare le aziende ad assumere e non buttare soldi per creare un senso di smarrimento tra i giovani che, alle volte, si abituano all'ozio e affievoliscono quella creatività che è nel loro Dna. Le neuroscienze dell'età evolutiva hanno ormai accertato che più si spianano le strade ai ragazzi – senza che questi sappiano cosa significhi il senso della privazione e del sacrificio – peggio è il loro adattamento produttivo e attivo nella società. Gli adolescenti ricevono dagli adulti una pianificazione che li rende alle volte incapaci di affrontare e superare gli ostacoli. A scuola sono stati aboliti i vari riti di passaggio (gli esami intermedi) e tutto sembra essere così edulcorato, come se gli sbarramenti non esistessero più. Invece, in tal modo si sta preparando una strada senza saliscendi, curve e strettoie: il nuovo percorso è fatto solo di vie dritte, possibilmente in discesa in modo da minimizzare gli sforzi e creare un falsopiano. Per l'appunto un "falso" mondo, in cui prima o poi si scoprirà l'inganno, di fronte alla incancellabile realtà.
RECOVERY FUND – Lo abbiamo già scritto. Non ci sembra che questa pioggia di miliardi che sta per arrivare dall'Europa (da ricordare: la maggior parte del prestito va restituita) sia in prospettiva a vantaggio dei nostri giovani. I posti di lavoro che si creeranno sono appena 750.000, di cui meno di un ottavo per gli under trenta. Allora bisogna cambiare subito direzione. Che siano i ragazzi stessi padroni del loro destino, che abbiano i giusti incentivi per la loro creatività e intrapresa, che siano dati finanziamenti per farli camminare con le loro gambe e che, in modo definitivo, si metta mano a una riforma seria della scuola, dove anche il corpo insegnante venga scelto in modo diverso, partendo da un fondamentale presupposto: svecchiamento della docenza e immissione di forze nuove e soprattutto... giovani.