Pier Paolo Pasolini avrebbe sostenuto i commercianti, gli ambulanti, i ristoratori
La posizione dell'intellettuale oggi sarebbe stata ancora una volta in controtendenza. Come nel 1968 si schierò a fianco dei poliziotti, oggi avrebbe difeso i titolari di un'attività
di William Di Marco
L'ANELLO DEBOLE – Non esiste in assoluto una parte svantaggiata e un'altra, in contrapposizione, che ha i benefici dell'autorità costituita. I due aspetti si confondono a seconda di dove il potere vero (che non è solo politico ed economico, ma anche – e forse soprattutto – mediatico) fa pendere la propria influenza. Conta molto, in tal senso, l'egemonia culturale: quello che Gramsci chiamava il predominio intellettuale è fondamentale per plagiare il pensiero comune del popolo. Un esempio di riferimento va ricercato nel famoso Sessantotto, quando i giovani studenti universitari si ribellarono a un sistema vecchio e anchilosato che dominava la scuola e le università italiane. Il principio fondamentale che ne scaturì era il sovvertimento del potere baronale, vale a dire di una casta di docenti universitari che manovravano i meandri della formazione delle coscienze dei giovani a proprio piacimento, con una serie di strettoie e selezioni che avvantaggiavano i pochi a discapito dei molti. La lotta – di per sé sensata e fondamentale per un cambio copernicano di tutto il sistema – entrò in crisi quando allo status quo considerato vetusto e superato non fece da contraltare una proposta spendibile per un'Italia che aveva bisogno di specializzazioni, tecnici e professionisti di alto profilo. I rivoltosi in generale cercarono di abbattere la struttura, senza però costruirne un'altra alternativa solida e con radici ben impiantate: non ebbero il minimo sentore di un forte cambiamento produttivo in corso che ormai avanzava a livello mondiale. In altre parole, la scuola delle élite aveva supportato il boom economico, mentre quella del post settantotto non riuscì nell'intento che in alcuni visionari era già balenato da anni, vale a dire adeguare la formazione alla società in trasformazione che si affacciava all'informatica e ai computer. È vero che si ebbe ugualmente un risultato straordinariamente positivo: la platea scolastica si allargò enormemente e molti giovani frequentarono le Scuole Superiori, a differenza di quello che era accaduto appena pochi anni prima. Adesso, però, cerchiamo il vero focus di questa riflessione. Quando i giovani protestatari scesero in piazza, il potere mediatico prese da subito le difese dei tanti studenti che furono coinvolti, al di là di riflessioni critiche più profonde. Furono trascurati, ad esempio, le violenze di piazze e gli attacchi contro le forze dell'ordine, come se queste fossero non solo necessarie, ma rientranti in una "coreografia" che veniva presa in prestito da oltreoceano (era il 1964 e negli Usa c'era stato Berkeley) e oltralpe (in Francia il famoso maggio francese del 1968). Diversi giornalisti e intellettuali appoggiarono le manifestazioni incondizionatamente e si schierarono apertamente a favore dei dimostranti, come se la verità fosse nelle loro mani e il giovanilismo dovesse trionfare contro i matusalemme di turno, rappresentanti il potere costituito. I ragazzi presero di mira le forze dell'ordine che sul campo impersonavano i tentacoli della classe dominante ed egemone, tanto che gli attacchi e i numerosi feriti che ne scaturirono tra poliziotti e carabinieri furono tollerati e considerati funzionali alla protesta. Ma non tutti ebbero la stessa reazione e un grande pensatore si distinse per la sua posizione fuori dal coro.
PASOLINI CONTRO I FIGLI DI PAPÀ – L'unico intellettuale (e che intellettuale!) capace di elevarsi dalla vulgata giornalistica e letteraria che prevedeva, per partito preso, l'appoggio agli studenti, fu il poeta, scrittore, giornalista, drammaturgo e regista Pier Paolo Pasolini (1922-1975). Pubblicò sulla rivista Nuovi argomenti – nell'aprile del 1968, dopo gli incidenti del 1° marzo a Valle Giulia – una famosa poesia che è rimasta nella storia. Il titolo era Il PCI ai giovani, in cui dichiarò apertamente di simpatizzare per i poliziotti che poco tempo prima avevano subito una carica degli universitari scesi in piazza, con numerosi contusi e feriti da parte delle forze dell'ordine. Fu una presa di posizione netta e contro corrente che tarpò le ali al "movimentismo", in voga nei partiti soprattutto di sinistra, che stava deragliando (in solo pochi casi, per fortuna) nell'estremismo sanguinario, le cui colorazioni politiche andarono dal rosso sangue al nero pesto. Nacque la famigerata e avvilente decade dei '70, per questo ricordata come quella degli Anni di Piombo. L'autore di Ragazzi di vita fu isolato all'interno del suo movimento politico, il Partito Comunista Italiano, poiché aveva osato mettere in discussione le proteste giovanili, ma il poeta colse l'occasione per dire una verità e al contempo provocare, grazie al paradosso, una riflessione critica. Vale la pena soffermarsi su alcuni passaggi di questa lirica: "Avete facce di figli di papà. / ... / Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte / coi poliziotti, / io simpatizzavo coi poliziotti! / Perché i poliziotti sono figli di poveri". E più avanti: "... voi, amici (benché dalla parte / della ragione) eravate i ricchi, / mentre i poliziotti (che erano dalla parte / del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque, / la vostra!". In pratica, Pasolini vide in faccia i due schieramenti e non ebbe dubbi su chi fosse la parte debole, cioè quei figli del proletariato del Sud Italia che non avevano altra via di fuga dalla disoccupazione perenne o ancor peggio dallo sfruttamento, se non entrando in un corpo dello Stato, per avere garantito lo stipendio, che pur se minimo, dava la possibilità di una vita onesta. E con quei pochi soldi, oltretutto, i vari poliziotti dovevano difendere gli interessi di una classe egemone, i cui figli erano proprio gli studenti. In quegli anni le facoltà erano frequentate dalla borghesia (appunto figli di papà) e dalla classe agiata che aveva risorse per investire sul futuro qualificato e professionale della prole. Lo scrittore bolognese prese le difese di quelli che solo apparentemente rappresentavano lo Stato. Nella sostanza erano anche loro vittime di un sistema che rimaneva incrostato su rituali difficilmente abbattibili da chi il giorno giocava alla rivoluzione e la sera si ritirava negli appartamenti di pregio del centro o nelle ville agiate dei loro padri. Un contrasto in termini che la maggior parte degli intellettuali non capì, ma che con il tempo fece breccia nelle coscienze di chi criticamente apprezzò la provocazione, frutto della fine osservazione del poeta.
PASOLINI OGGI SAREBBE CON IL MOVIMENTO "IO APRO" – In questi ultimi giorni l'esasperazione ha portato molti commercianti, ambulanti, ristoratori e partite Iva in generale a protestare nelle piazze, con l'occupazione in modo pacifico di Piazza Montecitorio, simbolo del nostro potere e della politica tout court. I cortei sono stati del tutto tranquilli, con alcuni deragliamenti dovuti essenzialmente ai soliti infiltrati, la cui provenienza ormai è nota da tempo. Questi sono spesso degli appartenenti a gruppi estremisti che approfittano delle manifestazioni per provocare incidenti. Al di là di pochi spiacevoli e condannabili episodi (va ripetuto, molto limitati) i partecipanti ad un certo punto hanno subito anche delle cariche da parte dei poliziotti, i quali hanno un po' invertito quello che furono le ragioni di valle Giulia del 1968. I tanti autonomi sono in forte crisi, data l'enorme difficoltà che stanno vivendo le piccole imprese, le microattività, ormai in sofferenza da più di un anno. Nel corso dei mesi i vari governi hanno risposto con misure di sostegno, non solo del tutto insufficienti e irrisorie (cosa ci fa un negoziante con il 5% o giù di lì del fatturato dell'anno precedente, quando le spese correnti non sono bloccate e il sostentamento alle famiglie è il grosso ostacolo da superare per ognuno di loro?), ma anche improponibili per chi vive di interscambio di merce e di servizi. In sostanza, un'attività non ha bisogno tanto di denaro, ma di far girare il proprio magazzino, di rendere attivi i macchinari. Se un ristorante ha un contributo statale (comunque sempre inadeguato) e non fa funzionare le cucine e tiene in abbandono i locali, subisce un danno enorme della struttura stessa. Medesimo discorso è riproducibile in tanti altri settori. Ma poi c'è un'altra riflessione da rimarcare. Chi è un fedele osservatore delle chiusure, nonché tifoso delle serrate perché altrimenti il Covid-19 annienta la popolazione, per la stragrande maggioranza ha le spalle coperte. È un dipendente pubblico, un pensionato, possibilmente che sta bene, o comunque uno che il reddito ce l'ha garantito, come i molteplici politici romani. Gli altri, che vivono quotidianamente del lavoro proprio e che se non incassano difficilmente possono mangiare, non è che sono negazionisti, ma semplicemente degli aperturisti, vale a dire vorrebbero che le cose tornassero alla normalità nel più breve tempo. Il limite massimo è stato superato, perché di mese in mese le possibili aperture sono state sempre spostate in avanti. Oltretutto, nelle ultime settimane, sono usciti studi molto complessi e autorevoli in cui viene messo in dubbio il confinamento stesso (lockdown), dal momento che non ha contribuito (con dati alla mano) a far scemare la pandemia. Ecco perché quei poliziotti – come d'altronde anche tutti gli amministratori e i politici ben accasati con i loro stipendi – stanno sbagliando a sottovalutare i tanti manifestanti, i quali sono oggi attivi nella protesta, ma questa potrebbe sconfinare in una vera e propria "guerra sociale" dagli esiti molto problematici. Sarebbe stato bello se i parlamentari italiani avessero rinunciato a delle mensilità dei loro stipendi, senza andare a pontificare sui portafogli altrui, in cui i soldi sono finiti e gli emolumenti garantiti sono solo una chimera. Siamo certi che se Pasolini oggi avesse impugnato la penna (o il computer) avrebbe difeso, come allora, la classe più debole, cioè quella dei manifestanti che rischiano di finire sul lastrico. E quando un'attività chiude per mancanza di clienti, lavoro e giro d'affari, non la si riapre semplicemente tirando su la saracinesca. Rimarrà chiusa per sempre. È bene che la politica se ne faccia una ragione.