Si può parlare ancora di libertà?
Alcuni fatti accaduti di recente, legati alla pandemia e alle elezioni americane, ci aprono un mondo fatto di riflessioni e di dubbi sul senso profondo di indipendenza del nostro agire quotidiano
di William Di Marco
UN CONCETTO REALE – Ci sono termini che rimandano a visioni spesso lontane dalla concretezza di tutti i giorni. È come se stessimo parlando di aspetti teorici, tralasciando tutto ciò che di pratico, invece, bisognerebbe considerare. Sarebbe come filosofeggiare e pensare ai grandi temi universali per trarne delle considerazioni astratte che potrebbero andar bene per riflessioni teoretiche fine a se stesse. Se spiegassimo, per esempio, quali sono i fondamentali temi della democrazia, andremmo ad attingere agli scritti di tanti pensatori del passato che, in punta di argomentazioni sillogiche, ci illustrerebbero cosa dovremmo fare, in linea di principio, per poter attuare il potere del popolo. Lo stesso vale per termini come uguaglianza, dignità, rispetto, identità, fratellanza e altro ancora. Anche il termine "libertà" si presta a simili considerazioni, sennonché alle volte bisogna tramutare in concretezza quello che abbiamo soltanto affrontato come concetti aleatori, se non addirittura vaghi. Oggi il termine libertà vive un momento di grande incertezza e non sappiamo più quali siano le coordinate da seguire. Se ci soffermiamo su ciò che ci consiglia il dizionario della Treccani potremmo dire che essa è "la facoltà di pensare, di operare, di scegliere a proprio talento, in modo autonomo; cioè, in termini filosofici, quella facoltà che è il presupposto trascendentale della possibilità e della libertà del volere, che a sua volta è fondamento di autonomia, responsabilità e imputabilità dell’agire umano nel campo religioso, morale, giuridico". E già siamo a un primo gradino del nostro percorso. Ma, come già sottolineato, alla teoria deve far seguito la pratica dell'attuazione di un principio alto e fondamentale per le società contemporanee e occidentali. Occorrono, dunque, degli ubi consistam che potremmo cercare con diverse accentuazioni, tra cui primeggia la giustizia, il rispetto delle regole, la reciprocità, l'agire senza confini, rispettando quelli altrui. Se costringiamo a stare a casa delle persone, violando la loro libertà di movimento, di interrelazioni con gli altri, di svolgere autonomamente il proprio lavoro, di istruzione (costringendo a delle lezioni a distanza al chiuso, in ambienti familiari), di frequentazioni di luoghi di culto, possiamo ancora dire di usufruire dei principi libertari? Certo, l'obiezione è che, nel caso italiano, siamo stati attaccati da un virus, come il Covid-19, e in qualche modo dovevamo difenderci. Eppure ci sono tanti costituzionalisti che si sono opposti all'autoritarismo dei Dpcm governativi, poiché limitativi delle prerogative di libertà e di democrazia. È vero che la vita è un bene di importanza primaria, ma lo sono anche quei principi che sono inalienabili all'uomo (già elencati in precedenza), paragonabili all'aria, all'acqua, al cibo. Invece nell'ultimo anno, dopo il Coronavirus, le nostre certezze sono venute meno. Ciò nondimeno il presupposto che la libertà, la democrazia, la dignità umana sono dei valori assoluti non barattabili è venuto meno, con l'assenso di gran parte della popolazione. Oggi ci rendiamo conto che tali pilastri devono essere rafforzati quotidianamente, ricordando a tutti (dalla scuola alla società civile, dalle istituzioni alla politica) le regole, affinché non possano essere attaccate o sottomesse al potere temporaneo di qualcuno, che siano persone o sovrastrutture apparentemente legittimate alla bisogna.
LA LIBERTA NEGLI STATI UNITI – Con le elezioni americane abbiamo visto come, anche nella patria della libertà, quest'ultima è stata messa fortemente in discussione. C'è libertà nel contestare un voto? Oppure, esistono i presupposti di apertura democratica nel fare una manifestazione a Washington contrastiva all'elezione del Presidente Usa? O ancora, occupare il Parlamento (inteso anche come casa dei cittadini) appartiene alle prerogative del popolo? Apparentemente le risposte potrebbero sembrare chiare, ma andando in profondità alla questione non è così semplice. È ovvio che tutto decade quando si utilizza la violenza, poiché l'uso della forza è in netto contrasto con i principi democratici. La questione, dunque, potremmo chiuderla qui. Ma non è la giusta lettura del caso in questione. Intanto perché le poche centinaia di persone che hanno infranto i recinti del Congresso americano non possono affatto offuscare centinaia di migliaia di manifestanti che sono scese in piazza in modo pacifico (stime veritiere, ma mai messe in risalto, parlano di una folla tra uno e due milioni di sostenitori di Trump). La libertà di molti di manifestare non può essere assolutamente offuscata dai pochi violenti che si sono presentati dentro il luogo sacro delle istituzioni statunitensi. Rimane il fatto che i quattro morti sono da annoverare tra i sostenitori trumpiani e l'unico poliziotto americano deceduto è venuto meno per un infarto e non per aggressione. In Italia nel 2001 ci fu a Genova un assalto alle istituzioni democratiche internazionali, rappresentanti gli 8 Grandi della Terra. Molti i facinorosi (no global) che misero a soqquadro la città ligure e che distrussero negozi, vetrine e arredi urbani. Tra loro c'era un giovane, Carlo Giuliani, che si presentò contro una camionetta dei carabinieri con un estintore: stava per lanciarlo contro un militare e quest'ultimo si difese – anche lui poco più che ventenne come l'assalitore e prosciolto dalla giustizia italiana e da quella europea – fece partire un colpo di pistola che solo di rimbalzo colpì Giuliani e lo uccise. Ebbene, quell'atto di violenza è stato ricordato come un gesto di libertà, al punto tale che in Senato fu dedicata un'aula e una targa al giovane ucciso, ricordato come un martire. Viene spontaneo chiedersi qual è il giusto senso di indipendenza del nostro agire quotidiano e qual è il corretto concetto di valutazione. Sempre rimanendo oltreoceano viene da chiedersi anche ciò che è successo con i social all'ormai ex presidente Donald Trump. I profili Facebook e Twitter sono stati oscurati, poiché i proprietari dei due social hanno ritenuto il primo cittadino americano fomentatore di violenza. Anche qui il concetto di libertà è stato del tutto rimosso. Può una piattaforma decidere, sulla libertà di pensiero, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato? Questi social sono diventati famosi, importanti e per molti versi necessari data la loro apertura a tutto ciò che gli scriventi propongono, senza ovviamente derive apologetiche e manifestamente offensive: la loro forza è riscontrabile nell'apertura alle riflessioni e ai commenti, essendo un veicolo informativo senza restrizioni e censure. Infatti, le grandi multinazionali che gestiscono questi mass-media si sono sempre giustificate (per non incorrere in sanzioni penali) che loro non erano i tutori degli scritti dei loro utenti. Se prendete un giornale (cartaceo o online) il direttore responsabile è direttamente collegato a ciò che viene pubblicato e ne risponde di fronte alla legge. Ecco perché il giornalista a capo di una testata può censurare un articolo di un suo collaboratore, poiché ne risponde in prima persona. Ma sui social non è così. Invece Twitter e Facebook hanno deciso d'imperio, come se nelle loro mani ci fosse un diritto supremo per scindere le cose corrette da quelle denigratorie e false. Quell'abuso è stato criticato da molti intellettuali, senza che questi ultimi assumessero il ruolo di difensori di Trump o ne condividessero le idee.
L'ITALIA STA ABDICANDO – D'altronde nel nostro Paese questo principio di libertà di espressione è un po' più difficile da comprendere, dal momento che abbiamo un governo (il Conte bis) che ha creato una task force per stabilire quali fossero le fake news (le cosiddette bufale), separando le notizie buone da quelle cattive. Chi ha studiato il Novecento e i totalitarismi, vedendo l'assurdità e la deriva nostrana, ha fatto un piccolo tuffo nel passato, quando il MinCulPop (Ministero della Cultura Popolare) fascista girava le veline alla stampa, tutta allineata e addomesticata ai voleri di Mussolini.