Paolo Rossi e quella macchina di turisti tedeschi
L'eroe dei Mondiali (1956-2020) spagnoli è scomparso improvvisamente, lasciando un piccolo o forse grande vuoto a una generazione che, nell'estate del 1982, scoprì per la prima volta il significato del tricolore e dell''inno nazionale. Grazie è il minimo che si può dire a quell'"eroe"
di William Di Marco
UNA UBRIACATURA COLLETTIVA – Ci sono dei momenti della vita, legati a degli accadimenti particolari, dove la memoria sembra quasi bloccarsi a quelle immagini. Gran parte del resto scompare, offuscato da contorni sempre meno chiari. Mentre l'episodio centrale rimane, quasi come una bandiera piantata nel percorso a ostacoli della nostra esistenza, cinica a srotolarsi con sempre più velocità. I fatti sono anche semplici in sé. Siamo nel luglio del 1982, esattamente l'11, una domenica accaldata come tante in quell'estate che sembrò non finire più. Una marea di gente invase il lungomare e nella rotonda Nord, imprigionata tra la folla, c'era una macchina con targa tedesca e con a bordo una famigliola in vacanza dalle nostre parti. I giovani impazziti di gioia la circondarono e cominciarono a intonare i cori dei vincitori che sbeffeggiano, in modo simpatico, gli avversari di turno. In realtà i malcapitati capirono la situazione, ma quell'energia qualche preoccupazione fece sorgere in loro. L'Italia aveva battuto appena prima la Germania (dell'Ovest) per 3 a 1 ed era diventata campione del mondo (superfluo dire di calcio, perché quel trofeo riguardava solo o principalmente la sfera di cuoio). Era il terzo titolo conquistato, ma gli altri due risalivano al lontano 1934 e 1938. Nessuno se li ricordava più e quell'evento riportò in auge un sentimento, l'amor patrio, quasi del tutto sopito o addirittura scomparso. A celarlo nelle menti italiche erano state le ideologie, che si erano date battaglia a partire dalla fine degli anni '60, per funestare di delitti e atroci attentati tutta la decade successiva, conosciuta a livello storico come i nefasti "anni di piombo". Nessuno sventolava più la bandiera tricolore e l'Inno di Mameli era una rarità solo per i cultori del bel canto, da sfoggiare nelle poche rappresentazioni istituzionali. In quei giorni di festa collettiva, in tanti comprarono le calcomanie della bandiera italiana, con un problema. Non sapevano se a destra ci andasse il verde o il rosso. Chi mostrava interesse per la patria era un appestato che doveva essere ghettizzato, ammonito e alle volte anche picchiato. In quell'estate, però, cadde la nostra "cortina di ferro" e fummo tutti autorizzati a sventolare il tricolore. Sempre dopo quella partita, altre automobili vennero coperte da un superbandierone. Sotto rimasero gli occupanti delle vetture, inebriati anche loro dai colori che sembravano essere stati sdoganati per sempre. Il verde, il bianco e il rosso – che il sommo Dante li usa nel Paradiso per rappresentare Dio attraverso una luce di tre cerchi concentrici fatta, per l'appunto, di quelle colorazioni – nessuno ce li poté più togliere.
PAOLO ROSSI FU IL VERO "EROE" – E perché accadde tutto questo? Perché un ventiseienne, giocatore disincantato che sapeva fare gol come pochi, ma mai capace di impersonare il ruolo di "eroe", ubriacò gli avversari con il suo balzo felino che sapeva anticipare tutti, senza sconti. La prima parte del mondiale la passò in sordina e le tre partite di qualificazioni lo videro più nel ruolo dello zombie che di un autentico centravanti. L'allenatore della Nazionale, Enzo Bearzot, si fissò con lui e più la stampa lo attaccava, dicendo che ormai Rossi era finito (dati i due anni di inattività, a causa di una squalifica molto discutibile), più lui lo proponeva al centro dell'attacco. Poi giunse la partita contro l'Argentina e il nostro "eroe" si mosse meglio. Si fece avanti il Brasile in una sorta di quarti di finale (in verità era un girone a tre). Erano gli imbattibili, tra le prime tre squadre più forti di sempre. E lì il nostro "Pablito" (così etichettato già nel mondiale del 1978 in Argentina) creò la sua leggenda. Tre gol di gran classe e i sudamericani stesi, nonostante ce ne fecero due e nonostante a loro bastasse un pareggio. Poi incominciò la vera e propria discesa. Prima la Polonia (già incontrata nel girone di qualificazione sancito da uno 0 a 0) che venne liquidata con un secco 2 a 0 (reti, nemmeno a dirlo, di Paolo Rossi) e poi la finale con la Germania, il cui primo gol dei tre fu realizzato dall'"uomo buono e per bene", come è stato ricordato ai suoi funerali. Tutti noi che vivemmo quei giorni, dopo il Brasile, sapevamo che avremmo vinto il Mondiale e per questo motivo lo vivemmo con gioia, in ogni fase. Forse è la differenza più grande con il titolo vinto nel 2006, dove il patema d'animo era nascosto in ogni azione. Nel 1982 fummo insuperabili e gran merito certamente va a una squadra stellare, ma se non ci fosse stato Paolorossi (tanti, all'estero, lo conoscono con una sola emissione fonetica) saremmo rimasti ancora con le bandiere chiuse nei cassetti e con il dubbio se è il verde oppure il rosso che va vicino all'asta. Grazie Paolo Rossi, nostro eroe (senza virgolette) per sempre, pur se per te il calcio era disincanto. Come darti torto!