Memento Mori. La banalizzazione della vita e della morte al tempo del Coronavirus
Averci annullato come persone è un segno ormai irreversibile del futuro "uomo-robot" che ci aspetta e che avrà un solo destino: l'omologazione
di William Di Marco
LA SAGGEZZA DELL'ANTICA ROMA – Quanti riferimenti facciamo quotidianamente alla cultura classica, in modo particolare a quella latina? Tantissimi e gli insegnamenti sono veramente di grande valore educativo. Non per niente la nostra civiltà contemporanea ha uno dei pilastri nella tradizione dei grandi cesari, ad iniziare da quella giuridica. L'Occidente deve molto a ciò che accadde sulle rive del Tevere. Tra i vari spunti ce n'è uno che spesso dimentichiamo, ma che è essenziale per capire un aspetto filosofico della nostra esistenza e che segnatamente serve per fare il punto su ciò che ci è successo con questa pandemia, capace di anchilosare in modo particolare il cervello. Chi tornava dalle ciclopiche campagne di conquista, sparse un po' per tutta l'Europa e per il bacino del Mediterraneo, aveva dei grandi vantaggi. Le milizie ottenevano dei terreni e chi si distingueva in guerra aveva delle somme importanti in denaro. L'ossatura di quella società, per diversi secoli, era imperniata sull'esercito, poiché questo era l'avamposto per le acquisizioni territoriali. Tuttavia l'attenzione ricadeva principalmente sui generali, sui condottieri o sui consoli, che in particolari circostanze diventavano "duci", cioè dei capi che per sei mesi avevano il potere assoluto. In tal modo le decisioni più importanti e immediate venivano prese direttamente sui campi di battaglia con lo scopo di risolvere al meglio le sorti dei conflitti. Ottenuta la vittoria – come spesso accadeva a quelle milizie – c'era la gratificazione del trionfo allestito nella città eterna. A Roma si preparava il grande corteo con ali di folla festante che doveva accogliere il vincitore. Questi passava in mezzo al popolo osannante e prendeva tutti gli applausi e le lodi della gente. Ciononostante verso la fine del corteo c'era un uomo che doveva gridare all'eroe di turno Memento mori (esattamente la frase era Respice post te. Hominem te memento, vale a dire "Guarda dietro a te. Ricordati che sei un uomo" abbreviata in Memento mori, cioè "Ricordati che devi morire"). Era una sorta di autoflagellazione metaforica, proprio per non far avvolgere l'eroe trionfante nel mantello della superbia, anticamera di manie di grandezza. La morte non era invocata, ma era il senso profondo della vita stessa, come tappa finale di un'esistenza, pur se gloriosa, fatta anche di rischi, pericoli e incidenti di percorso che rendono il trascorso quotidiano più vero e importante, nonostante le mille sfaccettature prismatiche, spesso negative. Insomma, una lezione di spazio temporale che va attraversato con la consapevolezza di accollarsi tutto il bello ma anche tutto il brutto, che ci si propina ogni giorno davanti ai nostri occhi.
LA BANALIZZAZIONE DELLA VITA – Il periodo del Coronavirus ci ha fatto capire molte cose, sotto il profilo morale, etico, filosofico e psicologico. Dire che non siamo più (come persone) quelli di prima è forse esagerato, tuttavia abbiamo appreso un senso nuovo dell'essere. Purtroppo non ne esce un quadro confortante. È sicuramente vero che esistiamo in quanto legati alla vita fisica, al nostro approvvigionarci in ogni istante di cibo, acqua, ossigeno e tutto il necessario per alimentare il nostro organismo. Detto questo, però, la complessità dell'uomo è ben altra. Il mondo animale e vegetale fa del sostentamento organico la sua peculiarità, mentre l'uomo riesce a completare la vita con un arricchimento di stampo diverso. La nostra essenza ha bisogno di alimentare anche l'anima, lo spirito, il cervello, il cuore, aspetti che in natura non appartengono agli altri esseri animati. Per noi tali sfaccettature non sono solo di superficie, ma colpiscono nel profondo la vita e la completano. Se non avessimo come supporto la fede, l'arte, i sentimenti, la riflessione esistenziale, la compenetrazione dello spirito tra soggetti vari, l'interazione con i nostri simili sotto il profilo dell'accrescimento culturale e sociale non potremmo definirci persone. Il nostro fisico esiste nel momento in cui si completa con la nostra anima e le due cose sono inseparabili. Invece, con questa pandemia è venuto a galla l'aspetto più materialistico della nostra esistenza. Immemori della "biopolitica" di Michel Foucault e compiacenti della "biotecnica" dei nostri virologi, betteriologi, infettivologi ed esperti, abbiamo preservato il lato biologico dell'uomo, dimenticandoci di tutto il resto, compreso delle libertà che sono parte fondamentale della componente intra ed extra moenia di cellule. I tanti divieti che ci sono stati imposti hanno voluto preservare solo l'aspetto rigenerativo del 'bios', tralasciando la componente metafisica. Anche qui il concetto di salute è stato interpretato nel modo più materialistico possibile, cioè quello di salvaguardare il fisico e non lo spirito. Di tutt'altra natura è invece il nostro organismo. Per capire meglio l'argomentazione, basta pensare come tra i divieti imposti da un'autorità superiore (governo) – non eletto da nessuno, con un premier semisconosciuto che ha impugnato i Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (Dpcm) a mo' di dittatura (se non quelle novecentesche, sicuramente di stampo consolare) – c'è stata anche la negazione dell'apporto quotidiano dell'appagamento dello spirito, con la chiusura iniziale delle chiese e con la sottrazione ai fedeli della liturgia delle messe. Non è una questione di essere religiosi o meno (noi siamo laici di formazione e veniamo dalla scuola liberale del grande Cavour della "Libera Chiesa in libero Stato": figuratevi, quindi, il nostro distacco!), ma di appagamento dell'anima alla stregua dell'approvvigionamento del cibo per il fisico. Aver chiuso i luoghi di devozione è stato un errore madornale che oltre ad andare contro la libertà di culto (sancito dalla nostra sempre invocata, molto dai governativi e meno da noi, Costituzione), ha fatto mancare lo scopo ultimo di tanti cristiani, che alimentano la loro fede attraverso l'eucarestia. Prendere dal prete il sangue e il corpo di Cristo non è una ritualità magica, ma l'essenza confessionale più alta che ci sia per un credente cattolico. Invece tutto questo è stato abolito e messo a tacere, soprattutto dalle alte sfere ecclesiastiche, uniformatesi pedissequamente e consenzientemente ai dettami del pensiero unico del Coronavirus. La Storia qui ci tiene sempre desti e ci ricorda che negli ultimi duemila anni non si era mai visto una cosa del genere. Sin dall'antichità protocristiana c'erano i percorsi (la via Francigena che partiva dalla Francia, dall'Inghilterra e dal Nord Europa per arrivare a Roma) che i pellegrini affrontavano durante le carestie e la peste con sacrifici incredibili, soffrendo la fame e la sete, pur di alimentare la propria anima di fede e arrivare nel centro della cristianità per redimere i propri peccati. Mai si era vista una Pasqua senza celebrazioni, con il deserto dell'introspezione umana rappresentata da una desolata e vuota Piazza S. Pietro. Tutto questo per far sì che il lato biologico e meccanicistico senza anima prendesse il sopravvento e venisse preservato a prescindere. A costo di uccidere la "salute" mentale, delle libertà, dello spirito, della fede. Tutti uniformati ai dettami di una salvaguardia materialistica della vita, in modo che il distacco asettico e igienico prevalesse sull'essenza dell'uomo, per consegnare ai posteri un individuo nuovo, spersonalizzato, "amuchinizzato", senza macchia, senza virus, pulito fuori e apparentemente anche dentro. Quando tutto questo caos passerà, ci renderemo contro delle storture che sono state messe in piedi, di ciò che è stato fatto in nome di una salvaguardia che, invece, non ha saputo custodire la vera dignità umana e la sua salute complessiva. Certo, nessuno sminuisce la gravità della situazione, ma averci annullato come persone è un segno ormai irreversibile del futuro "uomo-robot" che ci aspetta e che avrà un solo destino: l'omologazione, accettata per un periodo apparentemente breve ed emergenziale, ma che invece sarà molto più lungo e d'imposizione. La paura di simili processi non è più dietro l'angolo: è già tra e dentro noi.
LA BANALIZZAZIONE DELLA MORTE – Le stesse osservazioni possono essere espresse su ciò che è accaduto (e sta accadendo) ai defunti. Parlare di tale aspetto è come se guardassimo il rovescio della medesima medaglia della vita. D'altronde, il segmento di strada che percorriamo in questo mondo è caratterizzato da un inizio e una fine. Ecco perché la morte doveva avere la stessa banalizzazione che ha avuto la vita. Morire nell'epoca del Coronavirus ha significato: annullare qualsiasi contatto con i cari; sminuire il senso di una funzione religiosa o civile; volgarizzare il ricordo. Non bisogna scomodare i grandi della letteratura, ma Ugo Foscolo aveva individuato, da ateo, l'importanza di una tracciabilità storica e memoriale del defunto. Ne Dei sepolcri parlava della centralità della morte proprio in riferimento all'esistenza delle persone. Soffermarci sulla presenza di chi ci lascia è fondamentale per non perdere il contatto con la vita stessa. Il ricordo è il trait d'union di una simbiosi osmotica tra chi è rimasto e chi è andato via. I cimiteri, le funzioni, la rappresentazione, la ritualità sono essenziali per non sminuire il senso della morte, che non è la fine del tutto, ma la continuità di qualcosa iniziata con l'esistenza stessa dell'uomo e che con essa si rinnova. Invece in questo tempo della paura materialistica i morti sono stati abbandonati, con pochissimi parenti (anche solo uno) al seguito e l'oblio come unico conforto per seppellire lui, ma anche la maledetta fobia del virus. Una brutta fine per chi oggi non c'è più e una pagina indecorosa per chi è rimasto. Siamo stati privati della linfa vitale dell'evocazione, viatico per preghiere e continuità storica, laica o religiosa che sia. Che cosa hanno fatto politici e filosofi consenzienti, il papa, le alte sfere ecclesiastiche, i preti? Sono rimasti in "religioso" silenzio, trascinati, come saranno, dall'infamia della Storia.