Checco Zalone e l'umorismo di Pirandello
Tolo Tolo ha avuto un tema di fondo valido, una trama dagli spunti interessanti, una conclusione un po' vuota, ma surreale e poetica. Quello che è venuto meno è stato proprio lo Zalone dissacrante e pirandellianamente umoristico. Forse sarebbe stato meglio seguire il canovaccio della canzone "Immigrato"
di William Di Marco
L'UMORISMO FUORI DAL CORO – È uscito in questi giorni il film di Checco Zalone Tolo Tolo e subito è schizzato ai primi posti delle classifiche dei migliori incassi di sempre, anche se sarà molto difficile che lo stesso supererà l'altro film del comico pugliese Quo vado, vero cult cinematografico, riuscito in tutte le sue varie sfaccettature compositive. Quando fu programmato allora – eravamo nel febbraio del 2016 e pubblicammo un saggio dal titolo "Fenomenologia di Checco Zalone" – ci soffermammo sulla capacità del protagonista di tante puntate del programma televisivo Zelig di dissacrare con grande abilità uno dei pilastri della cultura italica, vale a dire il posto fisso, che non andava abbandonato in nessun modo, a costo di essere trasferiti al Polo Nord. Luca Medici (il vero nome di Zalone, utilizzato nell'ultimo suo lavoro in qualità di regista) riuscì a dire quello che la vulgata pensa, ma che l'intellighenzia del politicamente corretto cerca sempre di soffocare. Il lavoro fisso e non contestabile da nessuno, nemmeno dai magistrati del lavoro, è uno dei pilastri di una cultura garantista che nel corso degli anni si è radicata nel nostro Paese, figlia di una mentalità conservatrice e statalista, contraria a qualsiasi legge di mercato liberale e liberista. D'altronde, cosa si può pretendere da uno Stato che si fonda su una Carta costituzionale dove l'incipit dell'articolo 1 recita "L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro", il cui senso è ben stampato nelle menti dei cittadini, che chiedono proprio all'Ente supremo un lavoro, che invece dovrebbe essere frutto di libera iniziativa e di inventiva individuale? Così il posto garantito diventa un "diritto" inalienabile e questa mentalità, anche se negli ultimi tempi le cifre del comparto statale si sono ridotte, diventa un 'molok' che va preservato a prescindere. Non per niente nei concorsi pubblici i numeri dei partecipanti è sproporzionato in modo inverosimile rispetto ai posti disponibili, cosa che non avviene affatto nella selezione di lavori in aziende private, le cui garanzie non sono sovrannaturali come nell'altro caso e dove, solitamente, la produttività ha una sua logica da rispettare, mentre negli impieghi statali non c'è sempre un metro valutativo. Ecco, in questo preciso campo d'azione Zalone seppe far ridere, come aveva fatto anche con le pellicole precedenti, sull'aspirazione del posto fisso dell'Italiano medio, condizione privilegiata ma celata da una certa parte di sindacalismo protettivo. Il Checco nazionale è il popolo cha parla, capace di mettere in campo una visione alle volte anche molto superficiale, supportata dalla denuncia di una narrazione aneddotica esagerata, ma che ha il preciso compito di fotografare una realtà non distante dalla verità. L'attore di Capurso in quella circostanza aveva fatto centro, anche se la conclusione strizzava l'occhio non al cinismo, ma a un buonismo affatto di maniera e funzionale alla storia.
PIRANDELLO POTEVA ESSERE UTILE – Con Tolo Tolo la situazione non si è affatto ripetuta. Il film risulta a tratti piacevole, ma è una commedia del tutto normale, in cui non emerge mai la caratteristica principale dell'autore. Il suo politicamente scorretto, che era una prerogativa straordinariamente riuscita e distintiva, è stato messo in cantina e il film scorre su delle gag, alle volte anche poco originali e scontate. Zalone aveva in passato sposato appieno l'insegnamento di Luigi Pirandello, emerso nel saggio di quest'ultimo del 1908 dal titolo L'umorismo. Qui era riportato un passaggio fondamentale tra il «comico» e l'«umoristico», termini apparentemente sovrapponibili, ma con una profonda differenza. Nel primo il premio Nobel siciliano ci vedeva «l'avvertimento del contrario», nel senso che fa ridere una situazione in cui dalla normalità si passa all'imprevisto, all'eccezionalità. L'esempio più calzante è una caduta o una torta in faccia. Le due situazioni precedenti a queste sono la normalità, ma una storta improvvisa o la panna che ostruisce gli occhi provocano il riso perché avviene tutto il contrario di ciò che si possa immaginare in quel momento. Nel secondo caso, cioè nell'«umorismo», Pirandello fa emergere «il sentimento del contrario», cercando di andare molto più in profondità rispetto a una prima interpretazione superficiale. Nel saggio si descrive una donna molto anziana imbellettata, fortemente truccata, che suscita a prima vista ilarità (l'aspetto comico), ma poi induce l'osservatore ad andare oltre l'apparenza e ad accorgersi del dramma (l'aspetto umoristico) che c'è dietro a una simile scelta. Tornando al presente, Zalone questa lezione l'aveva ben capita nei precedenti lavori, ma l'ha totalmente dimenticata nell'ultimo film. Eppure tutto sembrava volgere per il meglio, almeno nella canzone Immigrato, utilizzata come trailer del film, però del tutto ingannevole (è stata solo una operazione commerciale). Il tema dell'emigrazione è qualcosa di serio e complesso e l'unico che poteva uscire fuori dagli schemi dei media "mainstream" era proprio il comico pugliese. Il video messo in circolazione prima del film faceva intendere che il tema di coloro che vengono in Italia è così articolato che ormai le parti si sono invertite e che la miseria dell'uomo ormai non ha più confini. In quei pochi minuti la storia si snodava su un'accoglienza frutto di un'umanità tipica del nostro Paese, senza una seria programmazione dei nostri governi, che sfocia nel concedere di tutto e di più (la scena dell'uomo di colore nel letto tra Zalone e la moglie è molto esplicativa), ma che il buon senso dei cittadini riesce a mitigare. Il canovaccio poteva essere buono, ma l'assurdo di questo battage pubblicitario è che la canzone con Tolo Tolo non c'entra nulla: due corpi completamente distanti e concettualmente diversi. Infatti nel film questa parte canora è relegata ai titoli di coda, quando ormai la storia cinematografica ha fatto il suo corso.
MANCANZA GRAVE: IL POLITICAMENTE SCORRETTO – Zalone non ha avuto il solito coraggio ed è incappato in un errore grossolano: fare un film che fosse gradito alla critica dei salotti buoni, quella in cui le regole teoriche (il mondo dei sogni) valgono più di quelle pratiche (il mondo com'è nei fatti). È risultato il più grande errore, perché la sua cinematografia è stata accettata finora grazie a ciò che lui fa dire a l'uomo della strada, forse anche ignorante e poco avvezzo alla cultura, ma che sa portare in bella mostra il sentire popolaresco del "coro" manzoniano. Il nome d'arte del comico in barese significa buzzurro, zotico, villano ed è stato il tratto distintivo di ciò che pensa la persona qualunque nei confronti del potere costituito. Nell'ultimo lavoro questo viene meno, forse perché il binomio che lo aveva portato al successo – formato con l'amico Gennaro Nuziante, regista di tutte le sue precedenti opere, anche televisive – si è sciolto e il soggetto è stato scritto con Paolo Virzì, intellettuale più integrato al sistema del politicamente corretto. Nonostante tutto, la storia di Tolo Tolo poteva anche reggere, se ci fossero stati degli inserti di rottura. Le occasioni non sono mancate, poiché il film nasce e si sviluppa sulle miserie dell'uomo, al di là del colore della pelle e delle latitudini. La guerra, le disavventure, l'attaccamento a un consumismo esagerato, la fuga dalla realtà, l'egoismo nel film sono temi trasversali e non appartengono solo all'uomo bianco o a quello di colore. Così il bombardamento nell'emporio poteva essere l'occasione per dire che le guerre non le vogliono solo gli europei, ma sono nel Dna di qualsiasi uomo. Oppure quando il protagonista (Checco) viene abbandonato nel deserto dai suoi compagni di ventura neri, come se fosse un uomo di colore qualunque in una attraversata per mare verso la terra promessa. O ancora quando viene venduto da un nero, come se rappresentasse un moderno schiavo in catene. Per continuare, il regista non spinge neppure sulla retorica dell'accoglienza dell'Europa colta, rappresentata dal delegato francese, in cui emerge il "si salvi chi può" di chi guarda esclusivamente ai propri interessi. Lì ci voleva la verve del Checco nazionale, ci volevano le battute dissacranti contro i "normali" che in quel caso erano gli immigrati, per dimostrare che la pochezza dell'uomo non ha confini o tratti somatici. Invece il Luca Medici regista questo coraggio non lo ha avuto e ha limitato le sue battute a una puntata di Zelig, fatte emergere nel momento in cui alla predica della moglie al telefono preferirebbe la prigionia dei terroristi dell'Isis, o ancora quando le riflessioni del politichese senza senso dell'ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, prolisso e logorroico, vengono affidate a un arabo per la traduzione in simultanea.
Tolo Tolo ha avuto un tema di fondo valido, una trama dagli spunti interessanti, una conclusione un po' vuota, ma surreale e poetica. Quello che è venuto meno è stato proprio lo Zalone dissacrante e pirandellianamente umoristico. Forse sarebbe stato meglio seguire il canovaccio della canzone Immigrato. Lì gli spunti sono stati molto più divertenti dell'intera pellicola.