George Orwell moriva settant'anni fa. Quell'anticomunismo mai accettato dalla sinistra italiana
La famosa frase dell'autore "Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali di altri" rimase come anatema per chi, da rivoluzionario, in nome di una uguaglianza prettamente formale, sfrutta gli altri per i propri interessi
di William Di Marco
L'ANDARE OLTRE DI CHI È ARTISTA – Ci sono autori che si calano perfettamente nel ruolo dell'artista, pur sapendo che, questa veste, non l'hanno mai cercata. Infatti, colui che fa dell'arte il suo tratto distintivo sa che ha un compito particolare nell'ambito sociale, vale a dire quello di distaccarsi dal conformismo e inoltrarsi in un viaggio metafisico per vedere l'oltre che si cela dietro la facciata della consuetudine quotidiana. Noi comuni mortali viviamo la nostra esistenza per quello che è, godendoci i pochi momenti di euforia interpersonali e portando la croce del cronologico vissuto giornaliero. Va bene così e l'uomo di strada, che compone la stragrande parte della popolazione se non la quasi totalità, non si pone tante domande sul come e sul perché la vita sia così. Ci basta riflettere il giusto, il considerarci parte integrante di un mondo in movimento e di raccogliere le vicende della vita per quello che sono. I pochi grandi artisti hanno perennemente la visuale puntata oltre il muro delle convenzioni e prefigurano quello che si nasconde dietro la facciata del perbenismo imperante. Per forza di cose coloro che vivono di estro devono provocare e far capire come lo scorrere del "chronos" metodico è soltanto uno degli aspetti che ci troviamo davanti agli occhi e che in parallelo esistono altre visioni, se non addirittura altri mondi, che vanno pre-visti o pre-narrati. Il compito dell'artista vero è un po' quello, cioè dare una chiave di lettura al presente, sapendo che il futuro sarà completamente diverso. Sotto tale punto di vista il grande scrittore e saggista britannico George Orwell superò in previsioni anche i più avveduti futurologi, che certo non sanno come andranno le cose, ma attraverso le dinamiche sociali e tecnologiche ci dicono come potrebbero essere le mosse delle masse. Orwell, da "semplice" osservatore e narratore delle miserie dell'uomo ottenne il grande salto in avanti, operazione ardita e riuscita all'intera umanità pochissime volte. I suoi libri e i suoi innumerevoli saggi sono un vero condensato di prospettive e di riferimenti avveniristici così lucidi che lasciano veramente di stucco, soprattutto a noi che quel futuro da lui previsto poi l'abbiamo vissuto. Sui totalitarismi è stato preveggente, avendo combattuto prima il fascismo, spinto da un vero amore per gli ideali comunisti, e poi ricredendosi su tutte le teorie marxiste, quando vide all'opera le aberrazioni del socialismo reale realizzate in più punti della terra, con all'apice le atrocità dello stalinismo disumano e sanguinario.
DUE ROMANZI FORTEMENTE PEDAGOGICI – La grandezza dello scrittore d'oltremanica è sancita da subito in un romanzo che è il condensato delle classi sociali. La fattoria degli animali (The animal farm) fu pubblicata per la prima volta il 17 agosto 1945. Era sotto forma di novella e descriveva come l'arroganza del padrone dell'azienda agricola ebbe come conseguenza la ribellione di tutti gli animali che si coalizzarono per scacciare il satrapo di turno, il quale una volta allontanato, cercò successivamente di riprendere il comando, fallendo l'operazione. A quel punto gli animali iniziarono una sorta di comunione di beni, di lavoro e di intenti, ma qui avvenne quello che è un po' nella natura dell'uomo. Alcune di queste bestie presero il sopravvento e i maiali (capeggiati da uno che si faceva chiamare, nientemeno che, Napoleone) assunsero il ruolo dispotico, sottomettendo tutti gli altri. In pratica la situazione iniziale – combattuta per la sua profonda ingiustizia, almeno dal punto di vista degli animali – fu ripristinata, con a capo coloro che dovevano fiancheggiare l'uniformità tra le varie parti. La famosa frase dell'autore "Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali di altri" rimase come simbolo dell'opera e fu presa come esempio contro chi, da rivoluzionario, in nome di una uguaglianza prettamente formale, sfrutta gli altri per i propri interessi. Nel mirino dello scrittore c'era sicuramente il regime comunista che si prefiggeva (allora come ora) di uniformare la società attraverso un concetto che non è precipuamente sociale, bensì dignitario e umano. L'uguaglianza in sé è un principio etico che va innalzato all'ennesima potenza per non far mai scendere il senso di responsabilità dell'uomo sotto la soglia del consentito, ma non può essere imposto come un voler livellare le aspirazioni dell'uomo. Queste ultime rimangono l'unica speranza e danno il senso di unicità a tutti gli esseri umani, molto più inclini alla libertà personale che all'uguaglianza sottomissiva.
L'ALTRO ROMANZO: 1984 – L'altro capolavoro, 1984, il cui titolo rimanda a un futuro allora abbastanza lontano, fu scritto nel 1948 (da lì il titolo, ricavato dall'inversione delle ultime due cifre) e pubblicato l'anno successivo. Anche qui l'indice di Orwell venne puntato contro il comunismo stalinista, ma l'ampio spettro della denuncia colpiva qualsiasi tipo di totalitarismo. Il protagonista, Winston Smith, impersonò l'eroe in negativo di una ribellione che non poteva essere realizzata. Il suo grido strozzato va a cozzare contro il controllo totale del regime, che si avvale del "Grande fratello" (comandante supremo), capace di scrutare, anche nella privacy più recondita, la vita di tutti gli esseri. Le telecamere piazzate dappertutto, l'invadenza dei vari vigilantes, la cappa ideologica del controllo delle menti rende il romanzo, oltre che distopico, ansiogeno e tetro nella rappresentazione della cornice. Il paesaggio è una specie di città senza anima, priva del senso di felicità; tutto è controllato dallo Stato-piovra con i suoi tentacoli, affamato anche di un voyeurismo di cattivo gusto e indegno. Anche la vita fuori dal raggio d'azione del governo, apparentemente libera, risulta sotto osservazione e l'angoscia di un'esistenza carceraria prende il sopravvento. L'autore britannico voleva rappresentare quello che stava avvenendo nei regimi comunisti d'oltrecortina e che anche Churchill aveva denunciato anni prima. Ma l'autore non fu preso molto sul serio, almeno dagli intellettuali di sinistra italiani, che difendevano a spada tratta l'indifendibile, osannando Stalin e il suo modus operandi come il migliore del mondo, oltre che il più democratico. Lo stesso Palmiro Togliatti nel 1950 criticò sprezzantemente l'opera con una recensione apparsa su "Rinascita" e diede il via a una serie di forti ostruzioni a un romanzo che sarebbe diventato un vero 'cult' del XX secolo. Quell'anatema è un po' rimasto (l'egemonia culturale gramsciana ha ancora una scia lunga che permane) e oggi, sui libri di letteratura, il grande Orwell è relegato a commenti di poche righe o addirittura è completamente oscurato.
L'ATTUALITÀ DELL'OPERA – Rileggere oggi i due capolavori è molto istruttivo e ci fa capire come la condanna dei totalitarismi deve essere univoca e senza frontiere. Purtroppo in Italia assistiamo ancora a chi crede che il fascismo sia stato meglio del comunismo e chi (la maggioranza) sostiene il contrario. Questi regimi violenti e repressivi vanno solo stigmatizzati e lasciati all'esame della Storia, che li ha inequivocabilmente inseriti nel libro delle barbarie umane. Se non ne siete del tutto convinti, George Orwell vi potrebbe illuminare.
PER SAPERNE DI PIÙ – George Orwell è lo pseudonimo dello scrittore inglese Eric Arthur Blair (Motihari, Bengala, 25 giugno 1903 - Londra, 21 gennaio 1950). Scrittore preciso e chiaro, Orwell è stato uno dei più lucidi saggisti del suo tempo. Avverso a ogni forma di totalitarismo, è noto per due romanzi che fondono impegno politico e passione letteraria: The animal farm (La fattoria degli animali), satira della retorica sovietica dell'uguaglianza; e 1984, romanzo che descrive in tono apocalittico un immaginario mondo futuro ove si sono imposti e trionfano tre stati governati da regimi dittatoriali.
Vita e opere. Dopo aver compiuto gli studi in Inghilterra, tornò in India e fu per cinque anni nella polizia imperiale indiana in Birmania. Su questo soggiorno è basato il suo primo romanzo Burmese days (1934). Tornato in Europa, visse tra Parigi e Londra facendo vari mestieri e soffrendo spesso la fame. Le esperienze di questo periodo sono descritte in Down and out in Paris and London (1933). Stabilitosi a Londra, scrisse romanzi, tra i quali: The clergyman's daughter (1934) e Keep the Aspidistra flying (1936). La depressione in una città industriale inglese e le possibili prospettive del socialismo in Inghilterra sono discusse in The road to Wigan Pier (1937). Partecipò alla guerra civile spagnola e restò ferito in battaglia. Dal 1937 i suoi scritti furono ispirati a un socialismo personalissimo e per nulla ortodosso e contengono violenti attacchi contro il capitalismo, la chiesa cattolica, i regimi dittatoriali e in genere contro tutte quelle forme di sopraffazione e d'ingiustizia che egli identifica nella società moderna. La guerra civile di Spagna gl'ispirò Homage to Catalonia (1938), cui seguì una raccolta di saggi che formano forse la parte migliore della sua opera, Dickens, Dali and others (1945). Ricredutosi, intanto, sul comunismo, specie su quello russo, narrò, con una simbologia assai trasparente, il prevalere del potere staliniano sugli ideali rivoluzionari nel racconto The animal farm (1946), che gli ottenne larghi riconoscimenti in Europa e in America e che si colloca, almeno come genere, sulla linea della satira di Swift. Il suo ultimo romanzo, 1984 (1949), è una tetra visione del futuro, che porta alle conseguenze estreme condizioni e tendenze totalitarie del mondo presente (da Enciclopedia Treccani).